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- La Francia impone un sovrapprezzo fino a 10 euro sui capi fast fashion entro il 2030.
- In Italia, 23 kg di rifiuti tessili prodotti per abitante ogni anno.
- Solo 2,7 kg pro capite di rifiuti tessili sono raccolti differenziatamente.
- Nel 2022 prodotte 160mila tonnellate di rifiuti tessili in Italia.
- Dal 1° gennaio 2025, obbligo di raccolta differenziata in tutta Europa.
L’ombra oscura della fast fashion e l’ascesa di Shein
La fast fashion, un fenomeno dilagante che promette abiti alla moda a prezzi irrisori, nasconde un costo ambientale e sociale insostenibile. Dietro le vetrine luccicanti e gli sconti allettanti, si cela un sistema di produzione e consumo che depaupera le risorse naturali, inquina l’ambiente e sfrutta i lavoratori. Aziende come *SHEIN, con la loro capacità di immettere sul mercato migliaia di nuovi prodotti ogni giorno, incarnano l’apice di questa tendenza, alimentando un ciclo di spreco e consumismo senza precedenti.
Il modello di business di SHEIN, basato sulla produzione ultra-rapida e sulla massiccia offerta di capi a basso costo, esercita una pressione insostenibile sull’ambiente. La filiera tessile, notoriamente energivora e inquinante, richiede ingenti quantità di acqua, energia e sostanze chimiche dannose. L’utilizzo preponderante di fibre sintetiche, derivate dal petrolio, contribuisce all’inquinamento da microplastiche, una minaccia crescente per gli ecosistemi marini e la salute umana. Inoltre, la brevissima durata dei capi fast fashion determina un aumento esponenziale dei rifiuti tessili, che spesso finiscono in discariche o inceneritori, aggravando ulteriormente l’impatto ambientale.
La *Francia* ha recentemente adottato una legislazione pionieristica per contrastare l’avanzata della fast fashion, un segnale importante che potrebbe ispirare altri paesi a seguire l’esempio. La legge prevede una serie di misure incisive, tra cui l’imposizione di un sovrapprezzo sui capi di abbigliamento fast fashion che potrebbe raggiungere i 10 euro per capo entro il 2030, il divieto di pubblicità per la moda ultra-rapida e l’obbligo per le piattaforme online di informare i consumatori sull’impatto ambientale dei prodotti. L’obiettivo primario è quello di responsabilizzare i consumatori, disincentivare l’acquisto di capi a basso costo e promuovere pratiche più sostenibili nel settore tessile, favorendo un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo e consumiamo abbigliamento. La legge francese, sebbene non perfetta, rappresenta un passo avanti cruciale nella lotta contro la fast fashion e potrebbe innescare un effetto domino a livello globale.
- Finalmente qualcuno che affronta il problema della fast fashion...👏...
- Shein e simili sono solo la punta dell'iceberg di un problema... 😠...
- E se invece di demonizzare Shein, guardassimo al lato positivo... 🤔...
L’Italia di fronte alla sfida dei rifiuti tessili
L’*Italia*, con la sua illustre tradizione tessile e manifatturiera, si trova di fronte a una sfida cruciale: trasformare il settore in un modello di economia circolare, riducendo al minimo l’impatto ambientale e massimizzando il valore delle risorse. Tuttavia, i dati attuali dipingono un quadro allarmante: il nostro paese si colloca tra i maggiori produttori di rifiuti tessili in *Europa*, con ben 23 kg per abitante ogni anno, ma la raccolta differenziata si ferma a soli 2,7 kg pro capite. Un divario enorme che evidenzia la necessità di un cambio di passo radicale. A livello europeo, circa il 78% dei rifiuti tessili finisce in discarica o incenerito, una percentuale che in Italia sale addirittura all’81%, un dato sconfortante che ci colloca tra i paesi con le performance peggiori.
Una recente rilevazione di *Ipsos* per *Erion Textiles* ha rivelato che la maggior parte degli italiani, ovvero due su tre, si sbarazza annualmente dei propri indumenti usati, ma sovente in modalità inappropriate. Troppi capi finiscono nell’indifferenziato, vanificando la possibilità di recuperare materiali preziosi e creando un danno significativo all’ambiente. Nel 2022, in Italia sono state prodotte 160mila tonnellate di rifiuti tessili, equivalenti a circa 500 milioni di vestiti. Una montagna di scarti che potrebbe essere trasformata in una risorsa, ma che invece continua a gravare sul nostro ecosistema.
Dal 1° gennaio 2025, è entrato in vigore l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili in tutta *Europa*, una svolta importante che potrebbe segnare l’inizio di una nuova era per il settore. Tuttavia, in Italia, nonostante l’obbligo sia in vigore dal 2022, la gestione di questi rifiuti continua a essere problematica. Molti operatori del settore lamentano la mancanza di direttive chiare e di una cultura consolidata sulla gestione dei flussi, lasciando spesso comuni e gestori industriali in balia di incertezze e difficoltà operative.
Il *Ministero dell’Ambiente* ha predisposto uno schema di decreto per l’istituzione della *Responsabilità Estesa del Produttore* (*EPR*) per il settore tessile e abbigliamento, un passo importante per responsabilizzare i produttori e incentivare la gestione sostenibile dei rifiuti. Tuttavia, lo schema è stato oggetto di critiche da parte di alcuni esperti, che temono possa favorire l’incenerimento rispetto al riuso e al riciclo, prevedendo obiettivi di intercettazione dei flussi troppo bassi e rinviando il resto all’incenerimento con recupero di energia.
Filiere virtuose e l’ombra della criminalità
Nonostante le sfide e le difficoltà, in *Italia* si stanno sviluppando diverse iniziative virtuose e consorzi che si impegnano nel recupero e riciclo dei rifiuti tessili, dimostrando che un’economia circolare nel settore è possibile. *Erion Textiles*, ad esempio, supporta le aziende della filiera tessile su tematiche chiave come l’eco-progettazione, il passaporto digitale dei prodotti e la gestione della raccolta dai negozi. *Retex. Green*, promosso da *Confindustria Moda* e *Fondazione del Tessile Italiano*, si propone come il primo e principale consorzio nazionale dei produttori per la gestione dei rifiuti di abbigliamento, tessile-casa, calzature e pelletteria. Il progetto *CIRCULAR TEXTILES* mira a creare una filiera tessile per il riciclo di rifiuti industriali e tessili usati, favorendo la creazione di un sistema di simbiosi industriale tra i distretti.
Questi esempi concreti dimostrano che il potenziale per un’economia circolare del tessile in Italia esiste, ma è necessario un impegno maggiore da parte delle istituzioni, delle aziende e dei consumatori per superare le criticità attuali e promuovere pratiche più sostenibili. La transizione verso un modello circolare richiede investimenti in tecnologie innovative, la creazione di infrastrutture adeguate, la promozione di una cultura del riuso e del riciclo e la definizione di politiche incentivanti e disincentivanti che favoriscano la produzione e il consumo sostenibile.

Un aspetto particolarmente allarmante è rappresentato dalle pratiche di smaltimento illegali e dal ruolo della criminalità organizzata nel traffico di rifiuti tessili. La *Commissione Ecomafie* ha evidenziato la crescita del traffico illecito, con flussi verso l’estero, l’uso di cassonetti abusivi e lo smaltimento illegale in paesi come *Africa*, *Asia* e *America Latina*. La *camorra* e altre organizzazioni criminali si sono infiltrate nel business dei rifiuti tessili, sfruttando finte cooperative, cassonetti abusivi e smaltimenti illegali. Il distretto tessile di *Prato* è stato identificato come un’area particolarmente a rischio, con la Procura che chiede più risorse per contrastare il fenomeno. Questo traffico illecito non solo danneggia l’ambiente, ma alimenta anche l’economia criminale, sottraendo risorse all’economia legale e creando concorrenza sleale. È fondamentale rafforzare i controlli e le attività di contrasto per prevenire e reprimere questi fenomeni, garantendo la legalità e la trasparenza nella gestione dei rifiuti tessili.
Politiche europee e prospettive future
È cruciale valutare attentamente le politiche nazionali ed europee volte a promuovere l’economia circolare nel settore tessile e a ridurre l’impatto ambientale della fast fashion. L’*Unione Europea* sta elaborando una strategia ambiziosa per il tessile sostenibile, che include una serie di misure volte a promuovere la circolarità, la trasparenza e la responsabilità nel settore. L’*Italia* deve recepire e implementare queste politiche, adottando al contempo misure nazionali incisive per ridurre l’impatto ambientale della fast fashion e promuovere un’industria tessile più sostenibile e responsabile.
La transizione verso un’economia circolare nel settore tessile non è solo una necessità ambientale, ma anche un’opportunità economica. Investire in tecnologie innovative per il riciclo dei tessuti, sviluppare filiere di recupero efficienti, promuovere la produzione di fibre riciclate e incentivare il consumo di abbigliamento sostenibile può creare nuovi posti di lavoro, stimolare la crescita economica e migliorare la competitività del settore tessile italiano. È necessario un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori della filiera, dalle aziende ai consumatori, dalle istituzioni ai centri di ricerca, per trasformare il settore tessile in un modello di eccellenza per l’economia circolare.
Verso un futuro sostenibile: responsabilità e consapevolezza
La fast fashion rappresenta una sfida complessa e multidimensionale che richiede un approccio integrato e una forte collaborazione tra tutti gli attori coinvolti. È necessario superare la logica del consumo usa e getta, promuovere una cultura della durata e della riparazione, incentivare la produzione di abbigliamento sostenibile e responsabilizzare i consumatori. Solo attraverso un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo, consumiamo e smaltiamo l’abbigliamento potremo costruire un futuro più sostenibile per il settore tessile e per il nostro pianeta. La transizione verso un’economia circolare nel settore tessile non è solo una necessità ambientale, ma anche un’opportunità per creare un’industria più competitiva, innovativa e socialmente responsabile.
Amici lettori, se riflettiamo un attimo, è facile capire come il concetto di economia circolare sia strettamente legato alla nostra vita quotidiana. Pensate semplicemente a quando ricicliamo la carta o la plastica: stiamo evitando che questi materiali finiscano in discarica, dando loro una seconda vita e riducendo la necessità di estrarre nuove risorse. Nel caso del tessile, l’economia circolare significa ridurre gli sprechi, riutilizzare gli abiti usati e riciclare le fibre tessili per creare nuovi prodotti, chiudendo il cerchio e minimizzando l’impatto ambientale.
Ma se vogliamo fare un passo avanti, possiamo esplorare un concetto più avanzato: la life cycle assessment*, ovvero la valutazione del ciclo di vita di un prodotto. Questo approccio ci permette di analizzare l’impatto ambientale di un capo di abbigliamento in ogni fase del suo ciclo di vita, dalla produzione delle fibre tessili allo smaltimento, identificando i punti critici e le opportunità di miglioramento. Ad esempio, potremmo scoprire che l’utilizzo di fibre riciclate riduce significativamente l’impatto ambientale rispetto all’utilizzo di fibre vergini, oppure che la produzione locale ha un impatto inferiore rispetto alla produzione in paesi lontani.
Spero che queste riflessioni vi abbiano stimolato a guardare il mondo della moda con occhi diversi e a fare scelte più consapevoli e responsabili. Ricordiamoci che ogni piccolo gesto conta e che insieme possiamo fare la differenza per un futuro più sostenibile.








