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- La COP30 ha visto la partecipazione di 162 Paesi.
- Il Brasile promette di fermare la deforestazione entro il 2030.
- Persi sette alberi al secondo nella foresta nel 2023.
La COP30, tenutasi a Belém nel cuore dell’Amazzonia, si è conclusa con un bilancio contrastante. L’evento, che si preannunciava come un’occasione cruciale per affrontare la crisi climatica, ha visto la partecipazione di 162 Paesi, chiamati a definire accordi fondamentali per la salvaguardia del clima. Tuttavia, le aspettative iniziali si sono scontrate con una realtà complessa, segnata da interessi divergenti e da una difficoltà concreta nel tradurre le promesse in azioni concrete.
Il Brasile, sotto la guida del presidente Lula, aveva promesso di porre fine alla deforestazione entro il 2030 e di avviare un programma di riforestazione. Si tratta di un impegno ambizioso, ma gli esperti scientifici avvertono che non è sufficiente; per prevenire il crollo dell’ecosistema amazzonico, sarà indispensabile ripristinare almeno il 5% delle zone già danneggiate. La foresta pluviale, infatti, continua a subire una pressione crescente a causa della deforestazione, dell’apertura di nuovi giacimenti petroliferi e dell’avanzata di progetti estrattivi legati ai minerali, in particolare l’oro. L’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali del Brasile (INPE) ha rivelato che nel 2023 la foresta amazzonica subiva ancora una regressione a un ritmo preoccupante, perdendo sette alberi ogni secondo. Inoltre, si intensifica l’inquinamento da mercurio, derivante dall’estrazione illegale dell’oro, che contamina corsi d’acqua, specie acquatiche e popolazioni indigene.

La voce dei popoli indigeni e la Dichiarazione per l’integrità dell’informazione
Nonostante la COP30 si sia svolta nel cuore dell’Amazzonia, la voce dei popoli indigeni, storici custodi della foresta, sembra non aver trovato un’eco sufficiente. La loro partecipazione a Belém è stata etichettata come “simbolica”, senza che a tale visibilità facessero seguito decisioni concrete o una reale espansione degli spazi democratici richiesti dai movimenti. In risposta a questa chiusura, il movimento indigeno ha lanciato la campagna “A resposta somos nós” (“La risposta siamo noi”), promuovendo una mobilitazione internazionale per proteggere i loro territori e affrontare la crisi climatica nelle sue cause strutturali. Tra le loro priorità, la tutela dei popoli incontattati e il rifiuto delle false soluzioni finanziarie.
Un elemento positivo emerso dalla COP30 è la “Declaration on Information Integrity on Climate Change”, un documento che riconosce l’importanza dell’integrità dell’informazione come componente strutturale dell’azione climatica. La dichiarazione chiede ai governi di integrare l’integrità dell’informazione nelle proprie politiche climatiche nazionali, proteggendo la produzione di conoscenza scientifica, garantendo la sicurezza di giornalisti e ricercatori e contrastando le campagne di disinformazione organizzata. Un aspetto cruciale riguarda la responsabilità delle piattaforme digitali, invitate ad accrescere la trasparenza dei propri algoritmi e dei meccanismi di amplificazione dei contenuti.
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Finanza climatica e adattamento: i temi chiave della COP30
I temi centrali della COP30 sono stati la finanza climatica e l’adattamento. In merito alla finanza climatica, si è discusso su come rendere operativi gli accordi presi alla COP29, mentre per quanto concerne l’adattamento, si è lavorato alla definizione di un quadro per monitorare i progressi verso il Global Goal on Adaptation (GGA) e alla presentazione dei Piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici. Tuttavia, persistono ancora numerose questioni intricate e controverse, che spaziano dal ruolo dei biocarburanti per una mobilità sostenibile ai “piccoli aiuti” promessi dai crediti di carbonio per la riduzione delle emissioni.
La COP30 ha altresì offerto l’opportunità di valutare il passato, dato che il 2025 segna il ventesimo anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e il decimo anniversario dell’adozione dell’Accordo di Parigi. Un’occasione per riflettere sui progressi compiuti e sulle sfide ancora da affrontare.
L’edizione COP30 ha fornito anche lo spunto per riesaminare il percorso pregresso, in quanto il 2025 coinciderà con il ventennale dell’operatività del Protocollo di Kyoto e con il decennale dell’adozione dell’Accordo di Parigi.
Verso un futuro sostenibile: la necessità di un cambio di paradigma
La COP30 di Belém si è conclusa con un senso di incompiuto, ma ha anche offerto spunti importanti per il futuro. La consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma, di un approccio più integrato e partecipativo alla lotta contro la crisi climatica, è emersa con forza. La tutela della foresta amazzonica, la voce dei popoli indigeni, l’integrità dell’informazione, la finanza climatica e l’adattamento sono tutti elementi cruciali per costruire un futuro sostenibile.
Amici lettori, la transizione ecologica è un processo complesso che richiede un impegno collettivo. Una nozione base è che la deforestazione contribuisce significativamente al cambiamento climatico, riducendo la capacità del pianeta di assorbire anidride carbonica. Una nozione più avanzata è che la protezione dei diritti territoriali delle comunità indigene è fondamentale per la conservazione delle foreste e la mitigazione del cambiamento climatico.
Riflettiamo su come le nostre azioni quotidiane, come le nostre scelte alimentari e i nostri consumi, influenzano l’ambiente e le comunità che lo abitano. Cerchiamo di informarci, di sostenere le iniziative che promuovono la sostenibilità e di far sentire la nostra voce per un futuro più giusto e rispettoso del pianeta.








